La storia di Ramin Bahrami

Raramente si leggono articoli che delineano in modo così preciso e profondo un grande artista. Quello apparso oggi su La Provincia di Varese scritto da Davide Ielmini è sicuramente uno dei più riusciti e rappresenta un ulteriore invito a conoscere da vicino Ramin Bahrami attraverso le sue parole e la sua musica.
Vi aspettiamo domenica 29 febbraio alle ore 17.30.

 

Una nuova vita grazie all’amore per la musica del grande Bach

La storia di Ramin Bahrami, iraniano che in Italia ha trovato la donna della sua vita e Dio

Non capita tutti i giorni, anzi piuttosto di rado, che le registrazioni discografiche di un pianista di musica classica si trasformino in best seller in grado di scalare le classifiche del pop.
Invece Ramin Bahrami, che nasce a Teheran ma si diploma al Conservatorio “G. Verdi” di Milano con Piero Rattalino, è riuscito anche in questo piccolo miracolo. Che con Dio, a dire il vero, non ha sempre a che fare. Piuttosto con la tenacia, l’impegno, la passione.
Naturalmente il talento. Purtroppo il dolore: il padre, vittima della rivoluzione iraniana, morirà in carcere. Ma sarà proprio lui a consegnare a Ramin un’eredità tanto ingombrante quanto salvifica: pensa a Bach. Dio nella via di Bahrami è arrivato dopo.
Anche dopo, per ovvie ragioni di natia religione, di Johann Sebastian Bach. Una conversione al cattolicesimo improvvisa e accecante quella del trentottenne artista, che di italiano non ha solo gli studi ma anche la moglie Maria Luisa. Una chiamata ricevuta nella sacrestia di una chiesa di Portogruaro: il Crocefisso, la stanchezza, la tentazione di mollare.
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Almeno quella volta. Almeno una volta. La vita da concertista è vita dura, e Ramin lo sa bene.
Una vita, la sua, nella quale la luce proviene da tre direzioni diverse: Maria Luisa, Dio e Bach. Quell’amore a tutto tondo che questo pianista ritrova sempre e comunque nei lavori del compositore tedesco. Una pagina alla volta – è stato pubblicato da poco, dalla Decca, il disco con il secondo volume de “Il clavicembalo ben temperato” – e Bahrami, come promesso anni fa, arriverà alla realizzazione del suo più grande sogno da musicista: registrare l’opera omnia dell’organista di Eisenach. E’ a buon punto, perché sapere che i suoi dischi – l’”Arte della Fuga” è stato studiato come “caso” di marketing culturale dall’Università Bocconi di Milano – entrano nelle top 20 del pop è una soddisfazione. Bahrami, popolare lo è veramente. Vuoi per quella frase di Rattalino (“Ramin scompone la musica di Bach e la ricompone in modi che risentono di un modello: Glenn Gould..”), vuoi per questo essere liberale e libero nell’avvicinarsi a Bach e vuoi per il suo credere ciecamente in questo compositore che lui, con determinazione, definisce “quinto evangelista”.
Perché è così: la musica non è come giocare a flipper. Non colpisci un tasto, spingi la pallina e fai punti. Bahrami è uno tra i più importanti interpreti bachiani viventi e, per di più, a livello internazionale.
Una bella responsabilità, da quando Bach è entrato nella sua vita all’età di cinque anni. Che ci fa un bambino con questa musica? Come la capisce, come si orienta, cosa gli dice? Ecco il piccolo miracolo: in quel disco incantatorio, a suonare è Glenn Gould.
Nel cuore di Bahrami non si accende una luce ma un incendio: l’infatuazione diverrà amore. Come amore sarà quello che il giovane proverà per tutti i grandi interpreti che dell’artista tedesco diffonderanno il vangelo: Rosalyn Tureck, Vladimir Horowitz, Andras Schiff, Angela Hewitt. E Alexis Weissenberg, al quale Bahrami dedicherà l’incisione delle “Suite Inglesi”.
Ci siamo: con cautela e umiltà, l’ascolto di un concerto di questo giovane uomo ci invita ad una riflessione teologica che è fondata sull’armonia. Dio e Bach: quando il secondo si specchia nel Primo, accade quello che la Leipziger Volkszeitung ha detto di Ramin. Cioè l’arrivo di «un mago del suono, un poeta della tastiera… artista straordinario che ha il coraggio di affrontare Bach su una via veramente personale». E lui, nato in quella terra che era l’antica Persia, rimette insieme le note con i colori del Sole e suona come se fosse un atto di fede.
Una preghiera recitata ad alta voce, bella nella forma ed etica nel messaggio: se vogliamo che il mondo cambi, prima di tutto dobbiamo cambiare noi stessi.
È per questo che questo pianista vede ne “Il clavicembalo ben temperato” «un album fotografico della vita dell’uomo». Insomma, prima delle note sembra che Bach ci abbia insegnato il rispetto.

Davide Ielmini

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